Il 20 maggio 1999 è stato ucciso il giuslavorista Massimo d’Antona. Ho voluto ricordarlo con questo intervento pubblicato sul quotidiano l’Adige.

 

D’ANTONA, UNA PREZIOSA LEZIONE

Ci sono circostanze in cui la Memoria deve imporsi sul frastuono massmediatico, per aiutarci a ritrovare profondità in un’epoca nella quale l’uomo ha forse perso il senso del “dopo”, ha smarrito ragionevolezza perché ha sfumato il nesso di causalità tra l’azione e la conseguenza.

Per recuperare quei valori di centralità della vita umana e reciproco rispetto che costituiscono la trama resistente del nostro tessuto sociale e comunitario, occorre riscoprire il ruolo delle testimonianze.

Esempi di uomini “normali” che sono riusciti a mantenere la loro integrità anche in situazioni difficilissime: sono questi eroi civili a dover essere il faro.

Giorgio Ambrosoli, Rosario Livatino, don Giuseppe Diana, Rocco Chinnici, Angelo Vassallo, Massimiliano Carbone… Purtroppo sono nomi che alla maggior parte di noi dicono poco, tra i giovani molti non ricordano neppure il periodo delle stragi e non conoscono Falcone e Borsellino.

Ma la testimonianza di queste persone, conoscere le loro storie, le loro vite, può aiutarci a trovare la forza per mantenere integrità ed equilibrio nella vita e nella politica.

Con questa premessa desidero ricordare oggi, nel ventesimo anniversario della morte, l’alta figura intellettuale e morale del professor Massimo d’Antona, ucciso barbaramente dalle Brigate Rosse la mattina del 20 maggio 1999 a pochi passi dalla sua abitazione e mentre si recava al lavoro, così come sarebbe avvenuto tre anni dopo con un altro “giuslavorista”, il professor Marco Biagi, anch’egli assassinato vigliaccamente dal terrorismo brigatista.

Massimo d’Antona venne ammazzato sulla strada, con nove colpi di pistola, come si uccide un cane. Senza pietà alcuna e con l’evidente volontà di non lasciare nessuno scampo alla vittima, così come era già avvenuto troppe volte con le molte altre Vittime, cadute in quella lunga stagione di follia che, per decenni, ha insanguinato e lordato di insensato odio questo Paese, sotto la spinta degli insegnamenti di “cattivi maestri”; di interessi inconfessabili; di occulte trame; di devianze di certe frange dello Stato e di intrecciate complicità.

D’Antona, che al momento della morte era apprezzato consulente del Ministro del Lavoro Bassolino, veniva da un importante percorso formativo ed accademico. Allievo del giurista del lavoro Renato Scognamiglio, vinse la cattedra di diritto del lavoro con un’opera di altissimo livello scientifico sul tema della “Reintegrazione nel posto di lavoro”, all’Università di Catania, per poi passare alla Seconda Università di Napoli ed alla “Sapienza” di Roma, dove il suo studio e le sue ricerche si distinguevano per il rigore del metodo e la problematicità profonda di un insegnamento mai scontato.

Autore di importanti monografie e saggi, in particolare sui temi delle garanzie nel diritto del lavoro e sulla privatizzazione del pubblico impiego, D’Antona partecipò al dibattito sindacale sia collaborando alla Consulta giuridica della C.G.I.L., sia offrendo la precisione delle sue analisi nelle sedi del confronto unitario.

Concentrò però le sue attenzioni di studioso proprio sulla questione della pubblica amministrazione e della privatizzazione piena del pubblico impiego, con l’obiettivo di costruire una solida coerenza fra i costi dello Stato sociale e le dinamiche della spesa pubblica.

Insomma, un intellettuale preparato e puntuale, ma anche un uomo mite, come lo descrive chi lo ha conosciuto e frequentato, dolce, ironico, lucido e colto, un anticipatore di progetti ed iniziative destinate sempre a dare frutto ed è anche per queste ragioni che, giustamente, la sua figura è stata ricordata durante la cerimonia per il “Giorno della Memoria delle Vittime del terrorismo” nell’Aula di Montecitorio ed alla presenza del Presidente della Repubblica.

Ricordare Massimo D’Antona significa allora restituire, attraverso il lavoro e l’occupazione, nuova attenzione alla persona; al lavoratore come centro di relazioni e non come semplice componente fungibile di più grandi ingranaggi e, soprattutto, ai giovani che cercano con fatica la strada del loro – e quindi nostro – futuro.

Per tali ragioni, la lezione di D’Antona si rivela ancor più preziosa oggi, in un tempo in cui si veicola l’idea che lo studio non serva a nulla; che gli intellettuali siano un male e che le masse, indifferentemente composte da lavoratori o disoccupati, come da elettori o “clientes”, contino ben più del singolo cittadino, dell’uomo, della persona, attorno alla quale invece dovrebbe plasmarsi un progetto politico serio e responsabile. Un progetto non fondato sulle parole d’ordine del rancore e dell’individualismo, bensì su di una nuova speranza di migliorare la vita di tutti, migliorando quella del singolo dentro la comunità.

Questo è l’intatto messaggio che ci arriva dalla bella lezione intellettuale ed umana di Massimo D’Antona, un messaggio attuale e prezioso, come sempre è l’insegnamento di quei “buoni maestri” di cui tanto ha bisogno adesso il nostro Paese.

 

Luca Zeni