vignettapd

Un partito zerbino?

L’incredibile decisione della segretaria del Pd di rimuovere il vice capogruppo alla Camera – in barba all’autonomia dei gruppi parlamentari – perché figlio del Presidente non allineato della Campania, per sostituirlo con un parlamentare che ha subito dichiarato di non essere del Pd e di non aver nessuna intenzione di iscriversi, ha naturalmente scatenato l’ilarità generale.
In realtà la questione è molto seria e più radicata di quanto si pensi, e tocca temi fondamentali come quelli legati all’identità e alla democrazia.
L’identità di una comunità è la sua essenza più profonda, e alla politica spetta il compito di rappresentarla continuamente. A destra c’è una concezione statica, quasi nostalgica dell’identità, intesa come contrapposizione al diverso, a chi è fuori dal gruppo, dimenticando che l’identità non è immutabile, ma evolve continuamente attraverso il confronto con l’Altro.
A sinistra al contrario pare diventato tutto relativo, un’identità evaporata di fronte alle rivendicazioni di diritti individuali intesi come mera libertà della volontà del singolo; così il meraviglioso concetto di interculturalità – il riconoscimento che il confronto con culture diverse può aiutare a comprendere i propri miti, le proprie contraddizioni, per rendere più consapevole la nostra identità – è diventato multiculturalità, una sorta di supermercato dei valori, dove giusto e sbagliato sono concetti relativi e ognuno sceglie il prodotto che più lo aggrada dallo scaffale. Una società non può reggersi su un pensiero così debole.
Un pensiero che si riverbera sulla concezione del partito. Oggi sarebbe anacronistico un partito-Chiesa, mentre ha grossi limiti il partito-persona che lega le sue fortune al mero carisma di un leader.
Appare però ridicolo il partito-zerbino, come troppo spesso pare essere diventato il Pd. Già lo avevamo visto a livello coalizionale, sia a livello nazionale (pensiamo al leader dei 5stelle, quelli del “parliamo di Bibbiano”, Conte, indicato da Zingaretti come “riferimento fortissimo dei progressisti”), che provinciale. Pensiamo alle scelte sui principali sindaci, o recentemente alla scelta dei candidati sui collegi uninominali “contendibili” alle politiche (Trento e Rovereto), entrambi di altri partiti, incredibilmente motivata dicendo che “un candidato targato Pd, a prescindere dal nome, non prenderebbe i voti nelle valli”; in un mondo normale si inviterebbe chi la pensa così a iscriversi al partito che sta sponsorizzando e per cui lavora.
“Sicuramente si è ceduto alle politiche per garantire al Pd la leadership alle elezioni provinciali”, dava per scontato ogni persona che riteneva applicarsi la logica di base anche al Pd; al contrario l’accordo c’era, ma sulla costruzione delle barricate pur di non fare le primarie, “perché vincerebbe il candidato del Pd”..
Se non si danno già per perse le prossime elezioni di ottobre, si abbandoni quel pensiero debole, si rinunci alla mera, sterile, critica alla destra e alle mediocrità di chi vorrebbe liste con candidati deboli pensando di avere più possibilità personali. Si dimostri invece forte coraggio progettuale, sfidando non la destra, ma la comunità trentina, che appare troppo spesso stanca e attenta a conservare rendite di posizione consolidate da troppi anni, a mettersi in discussione, ad innovare davvero per riscoprire un dinamismo ed una energia programmatica che non ha perso soltanto la politica.