La cooperazione rappresenta una delle architravi del sistema trentino, e proprio per questo abbiamo il dovere di interrogarci sulle criticità del sistema e sulle possibili vie da seguire per migliorarlo, con il coinvolgimento di tutta la comunità trentina. Di seguito l’intervento pubblicato sul quotidiano l’Adige con alcune considerazioni sul sistema del credito cooperativo trentino

 

Ho letto con interesse le considerazioni che De battaglia ha svolto nei giorni scorsi in merito alla solidità del sistema della casse rurali trentine. L’articolo fornisce una serie di stimoli interessanti, sui quali si possono innestare ulteriori valutazioni.
Innanzitutto non possiamo non considerare il ruolo fondamentale che la cooperazione ha svolto nello sviluppo economico del Trentino che, nel giro di circa cinquant’anni, è passato da una condizione di sostanziale sottosviluppo caratterizzato da elevati tassi di emigrazione ad una situazione di elevato benessere economico. La cooperazione, soprattutto per quanto riguarda il credito, l’agricoltura ed il consumo, può essere considerata una sorta di architrave sulla quale non solo si è sviluppata la crescita economica, ma soprattutto la coesione sociale, data dalla condivisione dei valori fondanti la cooperazione stessa, che ha reso sostenibile e solida nel tempo la crescita economica.
Questo peraltro non deve impedire di analizzare l’attuale stato di salute del movimento cooperativo, anche e soprattutto alla luce di un contesto sociale ed economico che si è profondamente modificato negli ultimi anni e, temo, lo sarà ancora di più nei prossimi.
Nel suo intervento Lei si è concentrato sulle banche di credito cooperativo e quindi cercheremo di soffermarci su questo settore. Le casse rurali sono innanzitutto banche, in quanto operano sul mercato del credito, all’interno del quale si trovano a competere con altre banche locali, con gruppi nazionali ed internazionali. Certo, la loro attività è – o dovrebbe essere – basata sulle specificità dell’essere cooperativa, ma senza dimenticare che devono stare sul mercato.
A partire dal 2007 le condizioni di base dei mercati finanziari si sono profondamente modificate, essenzialmente per due motivi. Innanzitutto un iniziale crollo di fiducia nei confronti delle banche e tra banche: la crescita dell’Euribor negli ultimi mesi del 2008 lo dimostra chiaramente. La crisi di fiducia era dovuta non solo a comportamenti poco corretti posti in essere da alcune banche, ma soprattutto alla non conoscenza dell’effettiva situazione degli impieghi (semplificando al massimo i crediti concessi, tra i quali i famosi subprime e gli investimenti effettuati, compresi gli altrettanto famosi derivati). Questa situazione di incertezza ha determinato una situazione di rischio percepito con tutte le conseguenze del caso. Innanzitutto una difficoltà nella raccolta ed una elevatissima soglia di attenzione nella concessione del credito, che, se viene concesso, lo è a condizioni molto selettive, sia come garanzie richieste, sia come costo dell’operazione, che magari non è alto in assoluto, ma lo è se confrontato con il credito illimitato e di fatto gratuito che eravamo abituati ad avere sino al 2008.
A livello locale le casse rurali, proprio sulla base dei loro valori, non hanno sofferto questa perdita di fiducia ma, anzi, hanno consolidato le loro posizioni sul mercato, accogliendo parte dei clienti che si sono allontanati da altri istituti. Va inoltre considerato che nella nostra provincia la crisi economica si è sentita in modo meno feroce rispetto ad altri territori italiani ed europei, grazie all’impressionante manovra anticongiunturale messa in essere in tempi brevissimi dal governo provinciale.
Quello che è accaduto tra il 2008 e l’estate del 2011 si è però oggi ulteriormente modificato. Innanzitutto è ora ormai chiaro che quelli che sostenevano che la crisi non solo non era passata, ma probabilmente non era nemmeno incominciata, avevano probabilmente ragione. Oggi, soprattutto in Italia, il sistema economico è in grave difficoltà, a causa non solo di una crisi finanziaria, ma soprattutto a causa di una grave crisi dei consumi, destinata ad aggravarsi nei prossimi mesi. In poche parole, la gente ha meno soldi (e se li ha non li spende), sia perché gli stipendi sono fermi a fronte di un aumento dei prezzi non irrilevante, sia perché la disoccupazione è attesa in crescita, sia perché sono aumentate in modo considerevole le imposte dirette e indirette, deprimendo ulteriormente le capacità di spesa. E nei prossimi mesi nessuno si sente di escludere ulteriori manovre finanziarie.
A questo punto veniamo alla situazione del mercato del credito in provincia di Trento, il che significa partire dai soggetti che ne detengono circa il 70%, ossia le casse rurali. Il credito trentino è anomalo, in quanto vi sono tanti soggetti piccoli, spesso non coordinati tra loro (le cassi rurali appunto), molto radicate sul territorio e molto sbilanciate sul mestiere che sanno fare meglio: raccolta di risparmio e finanziamenti a persone fisiche e piccole imprese.
Accanto alle casse rurali abbiamo i grandi gruppi: IntesaSanPaolo (in cui rientra la Banca di Trento e Bolzano) e Unicredit. Usando un linguaggio metaforico, abbiamo il tappeto inglese e le sequoie giganti, ma manca del tutto il bosco intermedio, che potrebbe aiutare a mettere in sicurezza il sistema del credito trentino, che temo stia vedendo le casse rurali in condizioni di difficoltà. Per quale motivo? Proviamo a sintetizzare per punti.
1) innanzitutto una difficoltà nella raccolta. Il risparmio è in drastico calo, in quanto viene utilizzato per i consumi: molte famiglie spendono per vivere più di quello che guadagnano. I risparmi investiti in azioni, magari attraverso anche strumenti evoluti come i fondi di investimento e le gestioni patrimoniali, hanno inoltre sofferto i crolli del mercato finanziario e sono quindi in parte evaporati e in ogni caso non rappresentano fondi a sua volta impiegabili dalla banca.
2) un costo della raccolta stessa. La remunerazione della raccolta è sempre più costosa, sia per la scarsità, sia per la concorrenza aggressiva dei grandi istituti. In questo periodo la raccolta è una delle principali priorità delle banche, in quanto i coefficienti di garanzia sono sempre più rigorosi. Va inoltre considerata la “concorrenza” dei titoli di Stato: è difficile pensare di raccogliere risparmio a condizioni molto diverse e le recenti difficoltà a emettere obbligazioni che sta incontrando Cassa del Trentino, realtà con la tripla A e ottimamente gestita ed in grado di soddisfare i più rigorosi parametri di garanzia, lo dimostra.
3) Lo spread – che è la differenza tra il costo della raccolta e la remunerazione degli impieghi – era già una forchetta molto stretta prima, al punto che non sempre riusciva a coprire i costi di gestione delle casse rurali. Ora lo spread potrebbe diminuire ulteriormente se la banca decidesse di accollarsi parte del costo della raccolta, senza ribaltarlo completamente sulla remunerazione degli impieghi. Ma a questo punto la cassa rurale si troverà con una coperta molto corta: assorbire parte dell’aumento del costo della raccolta e chiudere i bilanci in pesante perdita o trasferire a valle (sui soggetti finanziati) il maggior costo della raccolta? Il discorso è meno pressante per i grandi istituti, che hanno margini di manovra – sia sulla raccolta che sui costi – impensabili per una piccola banca.
4) le casse rurali hanno in taluni casi disatteso la loro vocazione territoriale, finanziando operazioni lontane non solo dal loro spirito, ma anche dal loro territorio, subendo veri e propri bagni di sangue e la Waterloo veneziana, che vede coinvolte varie casse rurali e la Cassa Centrale, non può essere dimenticata. Sono state finanziate operazioni dove risulta difficile individuare una razionalità economica – si pensi ad alcuni investimenti effettuati dalla Cantina di Lavis – e queste operazioni nascondono perdite per le casse rurali talvolta ingenti.
Va poi considerato che le casse rurali sono pesantemente coinvolte nel settore dell’edilizia, in quanto si tratta di uno dei più importanti settori economici della provincia di Trento. Ma le difficoltà del settore rischiano di penalizzare notevolmente il sistema delle casse rurali. Pensiamo alla crescente difficoltà per le famiglie di pagare il mutuo (garantito da immobili che hanno perso valore a causa della crisi dl mercato immobiliare), pensiamo alla crisi delle imprese edili e del settore del porfido.
Il sistema del credito cooperativo va difeso con convinzione, in nome di valori antichi che possono indicarci la strada in un’epoca dove regna la confusione. Ma è dovere di tutti noi, perché la cooperazione fa parte delle radici della cultura dell’autonomia trentina, studiare le difficoltà e proporre delle vie perché anche il credito cooperativo possa rinnovarsi ed essere all’altezza delle sfide dell’economia internazionale. Nell’epoca delle reti, forse si potrebbe lavorare per rafforzare il coordinamento tra le decine di Casse Rurali, la Cassa Centrale e Medio Credito. E forse serve un sistema di alleanze più chiaro, con meno oscillazioni tra la Germania (DZ citata da De Battaglia) e Roma, con Federcasse che deve talvolta richiamare all’ordine i partner trentini. Tutto questo sarà più facilmente realizzabile se si saprà dare fiducia ai tanti giovani competenti e preparati che ci sono dentro e fuori la cooperazione.
La cooperazione ha in sé potenzialità enormi per essere uno dei fattori di traino della nostra autonomia, ed oggi più che mai abbiamo bisogno di una sua continua capacità di rinnovarsi, attraverso un confronto aperto, franco e trasparente con la società trentina, il sistema delle imprese, le istituzioni. Solo unito il Trentino saprà cambiare marcia.

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