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L’intervento pubblicato sul quotidiano Trentino in ricordo della tragedia delle Foibe.

LE FOIBE E LE ALTRE TRAGEDIE NAZIONALISTE

Con sincera attenzione ho letto il contributo che il Collega Consigliere Gianluca Cavada ha voluto offrire sul delicato tema della memoria condivisa, con particolare riferimento alla tragedia delle foibe e, nel ringraziarlo per alcune riflessioni che trovo assolutamente condivisibili, proverei a spingere ulteriormente avanti il ragionamento.

Riconoscere il complice e colpevole silenzio di larghissima parte dell’Italia post-bellica attorno al dramma di oltre 20.000 morti e di 250.000 connazionali costretti ad un esodo dai contorni spaventosi è un dovere della politica e della società tutta; un dovere al quale non è possibile sottrarsi, anche per superare quell’abitudine, tutta italica, di nascondere sempre la polvere della storia sotto il tappeto dell’oblio.

In questo senso – e grazie anche ad appositi provvedimenti legislativi e ad importanti interventi formativi e culturali – negli ultimi anni molto si è fatto, non solo per ricordare, ma anche per individuare responsabilità individuali e collettive fino ad oggi spesso anonime o coperte da collusioni e da omertà diffuse.

In tal senso andrebbe anche ricordata, ad esempio, la richiesta jugoslava di estradizione del gen. Mario Roatta – comandante italiano nei Balcani ed autore della famigerata “Circolare 3C” con la quale si considerava la popolazione slovena come esercito nemico – accusato di crimini di guerra e sempre riuscito a sfuggire alla giustizia, così come le feroce italianizzazione forzata dell’etnia slava in Istria, Dalmazia e Slovenia da parte del fascismo, al pari di quanto accadde anche nel vicino Alto Adige/Südtirol con le etnie germanofone. Non si trattò di isolati casi, bensì di un disegno fortemente nazionalista, dove lo slogan “prima gli italiani” – figlio di quella cultura delle contrapposizioni fra Stati e popoli che tanti drammi ha prodotto nel vecchio continente e che sta ancora germinando di sé il tessuto delle politiche sovraniste e nazionaliste più spinte – fu causa di indicibili drammi individuali e collettivi che culminarono appunto nell’orrore delle foibe.

Memoria condivisa però non vuol dire solo riconoscimento delle simmetriche responsabilità o atti formali ad uso di telecamera, ma battaglia comune contro i propagatori dell’odio; gli eredi delle vecchi dittature; i nuovi profeti dello scontro globale. In altre parole, dare un senso alla memoria condivisa significa partecipare al voto per la costituzione di una Commissione parlamentare contro l’odio e l’intolleranza, anziché annullarsi in una muta e complice astensione; dare un senso alla memoria condivisa è esprimere una condanna effettiva, quotidiana e concreta dell’antisemitismo e delle nostalgie fasciste e post-fasciste, come quelle di Casa Pound, anzichè avvalersene come collettore di consensi; dare un senso alla memoria condivisa si traduce nel cambio dei linguaggi dove il nemico ritorna ad essere un avversario che non va irriso e deriso, ma rispettato ed ascoltato.

Tutto ciò posto, si può lavorare insieme contro i negazionisti di ogni specie e natura e rileggere gli avvenimenti oscuri dove i confini della memoria si sono annebbiati fin quasi a scomparire, chiamando alla sbarra della storia non solo i responsabili dell’eccidio di Katyn, ma anche quelli di Mi Lay in Viet Nam, dell’Africa tribale, dell’Argentina dei generali, di Srebrenica e di Sarajevo e, anche sfidando l’ira di Erdogan, riconoscere unitariamente il caso armeno come il più rilevante, dopo la Shoah, nella scala degli orrori dei genocidi contemporanei.

Certamente la crudeltà dei massacri in quella zona grigia che fu la Venezia Giulia e l’Istria – Dalmazia negli anni posti a cavallo della fine del secondo conflitto mondiale, ha pochi paragoni, perchè quello non fu un “normale” scontro bellico, ma l’esplosione delle contraddizioni di un’epoca ed uno degli apici della dialettica violenta e contrapposta fra due concezioni del mondo e dell’umanità, ma ancor prima fra due sovranità incapaci di dialogo e solo spinte all’eliminazione fisica dell’Altro, in una sorta di vortice senza fine.

Questi sono i risultati dell’esasperazione delle chiusure e dei nazionalismi ed è davanti a questi che i protagonisti di allora , come Degasperi, Schumann ed Adenauer, vollero un’Europa unita, perseguendo un modello di convivenza pacifica che è esattamente l’opposto della predicazione disgregatrice di chi plaude alla Brexit ed auspica la fine dell’Unione europea. Anche riconoscere tutto questo significa fare memoria condivisa.

Luca Zeni

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