C’è una domanda ancora aperta che si staglia sullo sfondo della confusione politica di questo periodo: al buon governo del Paese è più funzionale la vecchia politica degli accordi di palazzo o un bipolarismo più maturo di quanto è stato fino ad ora?

La crisi finanziaria ed economica degli ultimi due anni ha messo a dura prova i conti pubblici della maggior parte degli Stati occidentali.
Dei cosiddetti “grandi”, uno dei Paesi che è risultato più in difficoltà, è l’Italia. I dati macroeconomici ci dicono che tra il periodo precedente alla crisi e la situazione odierna, i conti pubblici italiani sono peggiorati più della media europea, e la situazione è ancora più grave se confrontiamo il dato con i primi anni del decennio: 6 punti di PIL rispetto alla media euro, ancora maggiore il divario nella produzione industriale.
Da decenni ormai sappiamo che occorrono riforme di sistema nei punti chiavi, dalle pensioni alla sanità, dalla ricerca all’energia; in particolare è oggi vitale facilitare la ristrutturazione delle imprese.
Ma i governi della seconda Repubblica che si sono succeduti non hanno fatto seguire ai proclami interventi di riforma sistemici.
Chi pagherà alla fine, come sempre, saranno le prossime generazioni: in politica non decidere spesso comporta conseguenze più gravi rispetto al non fare la scelta migliore.
La consapevolezza della gravità della situazione italiana dovrebbe indurre la politica tutta a un comportamento di responsabilità. Il governo dovrebbe avere la compattezza che richiedono i tempi difficili, avere il coraggio di portare a termine quelle riforme che in molti si aspettavano, vista la maggioranza schiacciante in parlamento; invece la maggioranza si sta sgretolando. Emerge un sistema diffuso di malaffare, connivenze tra diversi livelli istituzionali, organizzazioni segrete, rapporti tra mafia e politica: tutto nella migliore tradizione italiana.
Messo in un angolo dall’asse Bossi-Berlusconi, il postfascista Fini si accorge ora che c’è qualche problema di democrazia nel Pdl e di legalità nel governo, e lavora per “contare di più”, ma la sua accelerazione ora rischia di essere per lui un boomerang mortale, perché difficilmente se si andasse subito al voto saprebbe sottrarre un consenso significativo al resto del centrodestra. Sono molti i politici esperti in autoconservazione, in creazione di nuovi partiti(ni), in accordi e spartizioni, nella pratica del “cambiare tutto per non cambiare niente”, ed oggi stanno cercando di cambiare lo schema di gioco: il bipolarismo – dicono – ha fallito, è il tempo di andare avanti (?) e tornare ad un terzo polo di centro. Il tentativo è quello di farlo a tavolino, di trovare in parlamento, con la pratica della campagna acquisti, i numeri per costituire un nuovo governo, con alchimie da prima Repubblica.
Dimenticano però una cosa. Che i cittadini vogliono decidere chi li governa. Vogliono proposte chiare e trasparenti, e vogliono scegliere con il voto. Una politica seria deve saper offrire ai cittadini una visione di comunità, di Paese, indicare una direzione da seguire per crescere insieme.
Il Partito Democratico deve oggi lasciar perdere le sirene di questi temerari – peraltro terrorizzati dalla prospettiva di tornare alle urne, a dimostrazione che non sono affatto sicuri di essere maggioranza nel Paese – e lavorare per farsi trovare pronto ad essere davvero alternativa di governo.
Quando Berlusconi deciderà di tornare al voto – sia questo momento in autunno, sia più probabilmente in primavera, sia alla scadenza naturale nel 2013 – il Partito Democratico dovrà aver dimostrato di aver saputo far crescere una classe dirigente rinnovata, preparata e credibile, e di avere una visione di Paese.
Invece di pensare ai tatticismi dei Fini e dei Casini, lavoriamo a una politica energetica per i prossimi decenni, ad una reale politica economica di sburocratizzazione per le imprese e di incentivi fiscali per il lavoro, pensiamo a sostenere le famiglie, vero nucleo portante della nostra società, prendiamo in mano con serietà l’aumento inevitabile dei pensionati, diamo una prospettiva ai troppi giovani che stanno perdendo la speranza.
Solo in questo modo il Partito Democratico potrà ottenere la fiducia dei cittadini italiani, non con scorciatoie improbabili.
In questo senso il Trentino può essere ancora una volta laboratorio: dimostrando che si può realizzare un buon governo guidato dalla capacità di indicare una via e accompagnato a quel rigore morale che troppo spesso appare come un ricordo di epoche lontane.


Luca Zeni
capogruppo provinciale Partito Democratico del Trentino

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