Ero tra quelli che, nel novembre 1993, hanno assistito alla famosa conferenza stampa di Silvio Berlusconi, nella sede della Stampa estera a Roma. Dopo aver detto che, da cittadino romano, avrebbe scelto Gianfranco Fini nel ballottaggio con Francesco Rutelli per il comune, si accalorò a spiegare che i comunisti avrebbero cancellato la democrazia dall’Italia, con la complicità dei giudici rossi.
Nell’intervento davanti alla Confesercenti ha usato la stessa enfasi, gli stessi gesti e identico livore. Il Berlusconi di allora è simile al capo del governo di oggi, che attacca un’opposizione legata ancora a vecchi schemi “giustizialisti”. Peccato che siano passati quindici anni. In politica equivalgono a un’eternità. Allora Bill Clinton stava per completare il suo primo anno alla Casa Bianca.
L’Unione Sovietica era finita da poco e in Russia Putin era ancora il vicesindaco di San Pietroburgo. Tony Blair era un giovane deputato laburista rampante. Per non parlare del resto. Internet era agli albori, le videocassette erano in splendida forma e i telefoni cellulari erano aggeggi pesanti e molto esclusivi.
Possibile che tutto sia cambiato e che solo in Italia tutto sia rimasto fermo? Possibile che il dibattito politico debba concentrarsi su come ottenere l’immunità del premier, mentre il problema vero della giustizia italiana sta proprio nei tempi biblici delle sue sentenze?
Possibile che la congiuntura sfavorevole dell’economia, il prezzo del petrolio, l’arrancare delle famiglie per arrivare a fine mese, la perdita di competitività delle industrie e l’arretratezza della scuola, debbano lasciare il passo a problemi prioritari per una sola persona e non per l’intero paese?
Qualcuno parla di un complotto con cui si tiene sotto tiro il presidente del consiglio da più di quindici anni. Be’, se è così, che si faccia qualcosa, non so, un’indagine – magari parlamentare – oppure che il premier, dati alla mano, si difenda in fretta nei luoghi deputati, per sgomberare il campo da tutte queste accuse infamanti e che poi, però, si metta al lavoro.
Certo, è un’utopia pensare che l’Italia possa diventare un paese normale. Anche se negli ultimi mesi sembrava che ce la stesse facendo. L’”antiberlusconismo” come pratica politica era stato messo da parte dall’”esponente della principale forza avversa al presidente del consiglio”. Berlusconi stesso aveva dichiarato che il dialogo sarebbe stato la sua nuova dimensione, anche se i più maligni leggevano tra le righe la sua malcelata voglia di proseguire il cammino verso il Quirinale. Poi, la ricaduta.
Dopo il ritorno del “caimano”, come è stata catalogata questo nuova crociata contro i giudici, bisogna riazzerare tutto. Tornare a ragionare di prescrizioni, segnarsi date di udienze e composizione di giurie e aspettarsi chissà quale altra trovata dilatoria da parte del governo.
Se penso che questa situazione rischia di durare ancora a lungo e che, forse, non finirà prima del 2020, quando voterà mio figlio Admasu, che oggi ha 6 anni, mi prende davvero lo sconforto. E mi viene voglia di urlare: “Oh no, not again!”.
Salvatore Aloïse è il corrispondente della tv franco-tedesca Arte. Collabora con il quotidiano Le Monde. Per scrivere ai giornalisti stranieri: corrispondente@internazionale.it
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