Di seguito un riassunto dell’intervento svolto in occasione di un incontro pubblico in Val di Non sul tema della provincializzazione dell’Università.

Vorrei partire esplicitando subito quale sarà il filo conduttore del mio intervento.
Nel dibattito spesso semplificato e stereotipato a cui si assiste si possono individuare due posizioni  agli antipodi:
-          da un lato c’è chi idealizza l’attuale assetto dell’Università italiana, rivendica la più assoluta autonomia quasi che l’Università possa chiamarsi fuori da quanto accade nel mondo, e vede come la cosa più grave in assoluto una qualsiasi presenza delle istituzioni nell’Università stessa. è una posizione molto conservatrice che vede male qualsivoglia cambiamento.
-          dall’altro lato c’è chi dipinge l’Università come un luogo caratterizzato dai baronati, dal nepotismo, dall’inefficienza e rivendica il diritto della politica di entrare con forza dentro l’università per guidarla e renderla ancorata al territorio.
Voglio essere subito chiaro: entrambe le posizioni sono delle caricature che ignorano ognuna una parte del problema senza fornire soluzioni percorribili. La via che dobbiamo perseguire invece è quella di una interazione tra istituzioni e università, salvaguardando l’autonomia della seconda ma valorizzando la capacità di visione della prima.
Dobbiamo immaginare e consolidare un rapporto tra Autonomia e Ateneo trentino che sia di reciproca influenza ma di altrettanto reciproca forte autonomia.  Per farlo, dobbiamo lavorare sui modelli di governance, immaginando l’equilibrio migliore tra le due dimensioni.
Dobbiamo far sì al tempo stesso che il modello consenta da un lato, che una politica dell’Autonomia illuminata porti ad un beneficio della qualità e del prestigio dell’Ateneo, ma dall’altro e contestualmente, che se la politica che dovesse perdersi – come purtroppo ciclicamente accade – in derive qualunquiste e localiste non sia nella possibilità di intaccare l’eccellenza dell’Ateneo. Un’osmosi positiva.
Ma partiamo dall’inizio.
Mi è stato chiesto di inquadrare dal punto di vista normativo questa nuova delega alla Provincia in materia di Università.
La Provincia Autonoma di Trento fonda la sua autonomia sul Patto Degasperi-Gruber, firmato nel 1946, all’indomani della seconda guerra mondiale, e si concretizza con lo Statuto di Autonomia del 1948. Senza ripercorrere in questa sede il percorso che, passando dal Secondo Statuto del 1972, hanno portato al quadro attuale, quello che qui ci interessa sottolineare è che lo Statuto è la nostra Costituzione, contiene le materie di cui abbiamo la competenza primaria ed è sovraordinato sia rispetto alla legge provinciale che a quella statale.
Oltre alle materia indicate lo Stato può comunque concordare con la Provincia ulteriori funzioni da delegare, e di cui la Provincia si fa carico. L’acquisizione di nuove competenze è stata la via maestra che negli ultimi anni abbiamo seguito di fronte alle sempre maggiori difficoltà finanziarie dello Stato: invece di avere tagli al nostro bilancio abbiamo chiesto di poter aumentare le nostre competenze, a parità di risorse. E queste ulteriori deleghe sono sempre state trasferite in seguito all’approvazione di norme di attuazione.
La norma di attuazione è una norma approvata da una specifica commissione paritetica con rappresentanti delle Province di Trento e Bolzano, della Regione e dello Stato, che modifica lo Statuto ed ha forza superiore alla legge ordinaria, per cui il parlamento non può cambiarla.
Il 30 novembre dello scorso anno è accaduta una cosa nuova, ovvero un accordo tra la Provincia di Trento e lo Stato italiano, che passa sotto il nome di Accordo di Milano, che di fatto è stato approvato all’interno della legge finanziaria dello Stato. La delega in materia di università è contenuta all’interno di questo accordo, e all’epoca denunciai come un vulnus la mancanza delle norme di attuazione. Oggi possiamo dire che avevamo ragione, per cui si sta portando a compimento il percorso di approvazione di una specifica norma di attuazione.
Quindi lo stato dell’arte, dal punto di vista giuridico, è il seguente: l’accordo di Milano ha delegato alla Provincia la competenza sull’Università, in base al quale sin da subito la Provincia si è fatta carico di provvedere al bilancio dell’Università stessa. Per poter però intervenire per cercare proposte innovative capaci di rendere l’università di Trento all’avanguardia è necessario approvare una specifica norma di attuazione che sarà approvata probabilmente nell’arco di alcune settimane. Successivamente una legge provinciale potrà definire più nel dettaglio il quadro.

Fatto l’inquadramento giuridico, è necessario capire in quale direzione si sta andando.
Partiamo dal contesto odierno.
In Italia l’Università non naviga certo in buone acque. L’Italia è all’ultimo posto per capacità di richiamo di studenti e dottorandi stranieri, e questo è un parametro importantissimo di valutazione; tutti conosciamo la chiusura e la difficoltà a premiare il merito, il che comporta una percentuale elevatissima di ricercatori che vanno all’estero, la cosiddetta fuga dei cervelli, dove trovano maggiori garanzie di essere premiati per quanto valgono.
In questo scenario la riforma Gelmini, almeno nei suoi principi, cerca di intervenire per valorizzare trasparenza e merito, ma al momento paiono più che altro proclami, perché necessita di numerosi interventi attuativi e di fondi che al momento mancano.
Se volete poi torniamo sulla riforma Gelmini e sulle sue criticità, ma credo che i miei interlocutori possano confermare che difficilmente riuscirà a risolvere i problemi dell’Università italiana.

In questo quadro si colloca l’Università di Trento, che è stata uno dei fattori che maggiormente hanno inciso per far crescere il Trentino nei decenni scorsi, portando professionalità, apertura culturale e sociale, favorendo quella vocazione del Trentino di essere crocevia, luogo di incontro tra popoli e culture.
Oggi è ai primi posti delle classifiche tra le Università italiane, e questo in particolare grazie alla vocazione internazionale ed ai servizi offerti. Tuttavia il quadro è in grande movimento, ed il parametro di riferimento non può più essere l’Italia, ma il mondo.
La crisi economica ci ha mostrato con evidenza come ormai il mondo sia interconnesso, siamo parte di un sistema interdipendente, dove la Cina sforna un milione e mezzo di ingegneri all’anno, e una realtà come il Trentino potrà riuscire a essere competitiva se saprà sempre più avere un sistema capace di fare rete, di seguire le vocazioni del territorio, di fare ricerca all’avanguardia nel mondo.
Per farlo dobbiamo guardare all’Europa e al mondo, e l’Università è l’elemento chiave.
A livello nazionale stanno guardando con grande attenzione al nostro percorso, perché se riusciremo a trovare un sistema efficiente ed innovativo di rapporti virtuosi tra mondo accademico, studenti, territorio, politica, sarà un modello attuabile per alcune università di punta in Italia. Il modello a cui si tende, inevitabilmente, sarà quello di alcune università, forse una decina, capaci di essere avanguardia nella ricerca e di inserirsi in uno scenario mondiale, mentre le altre avranno soprattutto una funzione didattica e territoriale.
Per riuscire a fare questo dobbiamo partire da quanto c’è di ottimo nell’università di Trento e aumentare l’efficienza dove ci sono elementi che non funzionano.
Alcuni elementi di forza:
-          con l’ultima finanziaria si è svincolata l’Università di Trento dalla programmazione nazionale, e questo consentirà politiche di reclutamento e garanzie per la progressione di carriera per chi ha superato i concorsi – pensiamo ad esempio ai professori associati – mentre questo in Italia è bloccato, e consentirà di chiamare professori con curricola molto prestigiosi;
-          a livello di finanziamenti, mentre nel resto d’Italia ci sono enormi problemi, l’Università di Trento continua a ricevere attraverso la Provincia i fondi statali di cui disponeva in precedenza;-          la provincia ha una attenzione altissima per i servizi, per l’edilizia per la didattica e la ricerca (ad esempio laboratori), e in questo siamo in assoluto ai primi posti;
-          si è raddoppiato l’impegno per il diritto allo studio e le residenze per studenti e ricercatori, in modo da fornire un contesto ottimale;
-          molto importante la presenza, tra il livello politico (che può cambiare nel tempo) e quello accademico, di una struttura stabile che funziona, data dal Servizio università e ricerca, con dirigenti scelti per concorso, e dal neo costituito dipartimento Università Istruzione e Ricerca, dove il nuovo dirigente è una garanzia.
-          Oltre ai fondi per l’edilizia, siamo uno dei pochi posti dove sono garantiti tutti coloro che hanno diritto alle borse di studio, anche coloro che vanno fuori Trento (pensiamo che chi si specializza in una delle migliori 50 università del suo settore riceve un prestito a tasso zero fino a 30.000 euro); siamo all’avanguardia per le esperienze all’estero, come Erasmus o doppia laurea.
Tutto questo per dire che abbiamo un contesto che è un miraggio per le altre università italiane, e la continuità di questa impostazione è data dallo Statuto di autonomia.

RAPPORTI TRA UNIVERSITA’ E PROVINCIA
Qui torniamo a quanto detto in apertura. La parola d’ordine dev’essere equilibrio.
L’autonomia sulla ricerca e la didattica del mondo accademico è un valore assoluto ed intoccabile, e la costituzione salvaguarda tale principio; al contempo però è diritto dei cittadini, attraverso la politica, poter partecipare alla gestione dell’Università.
Ricordiamo che quando nella seconda metà degli anni ‘80 la politica chiedeva l’istituzione delle facoltà di Informatica e di Biologia c’erano enormi resistenze all’interno dell’Università.
I principi che devono muoverci sono di grande attenzione al rispetto delle reciproche prerogative, nella ricerca di una università capace di essere al top nella ricerca e di mettere al centro studenti ed anche il territorio, rifuggendo con forza la chiusura localistica ma cercando in tutti i modi l’apertura internazionale.
è giusto che la componente politica, per quanto indirettamente e con meccanismi di salvaguardia, incida nella gestione e nelle visioni di massima, poi occorre l’assoluta autonomia della ricerca.
Questo si può fare attraverso meccanismi di garanzia e non discrezionali, ad esempio è giusto che la politica non possa mettere becco sul reclutamento dei professori, ma può chiedere che si eviti il nepotismo a favore del merito, per cui si possono prevedere fondi specifici per la chiamata di professori di chiara fama o di livello internazionale; si può chiedere di favorire l’apertura internazionale ed il richiamo di studenti e dottorandi stranieri ad es. prevedendo fondi specifici per corsi tenuti in lingua straniera.
Uno dei principi che devono muoverci è capire che se per cambiare marcia all’università – con ricadute positive per il Trentino – dobbiamo essere capaci di attrarre competenze, come facevano i comuni fiorentini che nel 1200 non facevano pagare le tasse agli artigiani della lana che arrivavano nel loro territorio.
Per uno studente trentino fare l’Università a Trento deve significare uno sguardo sul mondo, con la possibilità di spostarsi all’estero attraverso un programma Erasmus e di doppie lauree con pochi paragoni al mondo.
Deve significare avere un marchio di garanzia che apre le porte ad un accesso privilegiato al mondo delle imprese italiane e straniere, perché oggi non basta avere un titolo, occorrono le competenze, e il riconoscimento di percorsi di studi garanzia di preparazione.

NORMA DI ATTUAZIONE
La norma di attuazione è in fase di stesura, per cui non conosciamo ancora il contenuto definitivo.
La linea che si è seguita è però stata quella descritta questa sera:
-          il modello di riferimento è quello di una università con molteplici funzioni: produzione di conoscenza mediante la ricerca scientifica; formazione di capitale umano con diversi livelli di specializzazione (di base, specialistica, dottorale), formazione permanente; scambio di conoscenze e trasferimento dei risultati della ricerca al sistema economico, contributo allo sviluppo territoriale, contributo agli scambi internazionali di saperi.
-          partire da quanto di buono c’è ma cercare di orientarsi in base alle migliori pratiche internazionali, per crescere ancora;
-          politica parte attiva con la garanzia però che vita didattica e ricerca scientifica non siano soggette alla direttiva della politica stessa; diversamente non vi sarebbe Università;
-          alle istituzioni compete invece la definizione degli indirizzi di programmazione finanziaria e la promozione di una politica integrata della ricerca e la valutazione dei risultati ottenuti;
-          mantenimento di relazioni rispettose ed equilibrate tra Provincia e Università, nella direzione di sperimentare forme di organizzazione della didattica e della ricerca in linea con i migliori standard internazionali;
-          ricerca di una maggiore interazione con gli enti di ricerca presenti sul territorioSul governo dell’università, le linee fondamentali sono:
-          semplificazione, con organi più snelli ed efficienti, riducendo al minimo i soggetti di rappresentanza;
-          distinzione dei ruoli tra CDA, rettore e senato;
-          il punto più controverso riguarda però le competenze dei diversi organi, in particolare del Senato. Su questo punto, ancora aperto, si sono registrate le maggiori critiche all’impostazione della Commissione per l’Università. Anche il Partito Democratico ha manifestato tutta la sua preoccupazione, chiedendo che venga rispettato quell’equilibrio di cui abbiamo parlato in apertura, garantendo il ruolo del mondo accademico.
Sul modello di finanziamento, si va nella direzione di favorire da un lato la programmazione pluriennale (grande differenza col resto d’Italia), dall’altro di incentivare il raggiungimento degli obiettivi.
Sarà poi fondamentale riuscire a prevedere criteri misurabili e non discrezionali di valutazione dei risultati raggiunti. Occorre spingere sul merito.

Se riusciremo in quest’impresa, sarà un cambio di passo notevole per il Trentino, se invece faremo prevalere la paura e i timori che sempre l’innovazione e il cambiamento porta con se, saremo più piccoli e soli. Ma oggi non possiamo permettercelo.

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